ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 2 febbraio 2017

Quo vadis Jorge?

FRANCESCO E LA SPOSA DI CRISTO

    Francesco, dove stai portando la sposa di Cristo? Da buon progressista, egli è salito al soglio pontificio con una idea ben precisa in testa: traghettare la Chiesa, con il vento del Progresso, verso un futuro radioso 
di Francesco Lamendola  



  
Papa Francesco è, essenzialmente, un progressista, nel senso più ovvio e letterale del termine: crede nel Progresso. Crede, cioè, come ci credevano Voltaire, Diderot e gli altri illuministi francesi, che la storia sia migliorabile, che la società vada verso il meglio, beninteso a certe condizioni: fra tutte, lasciarsi guidare e soprattutto “illuminare” da coloro che sanno quale sia la strada da tenere e la meta verso cui dirigersi. Che sono, guarda caso, i progressisti, cioè loro. E qui appare la prima e più evidente delle tautologie che formano la complessa e strana tessitura cerebrale del progressista: la rocciosa convinzione che ciò che egli indica all’umanità sia il Bene, il Bene universale, il Bene di tutti; e che egli solo, e quelli come lui, ne conoscono il segreto, per cui tutti gli altri devono affidarsi a lui e lasciarsi guidare da lui. In fondo, è un fideismo autoreferenziale della più bell’acqua, impregnato di narcisismo e di megalomania: Lasciate fare a noi e non ve ne pentirete; ma non mettetevi di traverso, perché vi spazzeremo via. Anzi, non saremo noi a sporcarci le mani, se non in casi estremi; sarà la storia stessa a farlo. Perché la storia è progresso, e dunque la storia è dalla nostra parte; o, se si preferisce, noi siamo dalla parte della storia. In altre parole: noi non potremmo mai avere torto, noi avremo sempre e soltanto ragione; ad avere torto saranno quanti non fossero persuasi della nostra ricetta, del nostro programma, delle nostre finalità. Essi sono già screditati in partenza, e finiranno nel cestino dei rifiuti della storia.
Una ovvia conseguenza di questa impostazione mentale è che il progressista non capisce, né mai potrà capire, le ragioni del conservatore, o di chiunque non sia interamente e incondizionatamente disposto a lasciarsi guidare da lui e dalla storia (che, come abbiamo visto, sono un tutt’uno), e vanno accolti con fede, come il credente accoglie la Parola di Dio. Il conservatore, del resto, e chiunque si opponga al Progresso, non ha veramente delle ragioni, ma, al massimo, dei subdoli interessi, delle inconfessabili pretese, dei vergognosi privilegi da difendere; ma ragioni, nel vero senso della parola, no, mai. Le ragioni, per definizione, stanno sempre e solo dalla parte del progressista: sono, nello stesso tempo, il suo blasone aristocratico e la prova evidente della giustezza di quel che sta facendo. Infatti è ragionevole mettersi nella sequela del Progresso, e irragionevole intralciarla; non è certamente un caso che gli illuministi abbiano proclamato il culto della Dea Ragione, in luogo di quella irragionevole credenza che si chiama cristianesimo.
Qui, però, si verifica un paradosso: perché, se il progressista non capisce e non capirà mai le ragioni del conservatore, il conservatore può benissimo capire le ragioni del progressista, e, nondimeno, non accettarle e non condividerle, almeno non accettarle o condividerle sino in fondo. In parte, sì, lo può fare: perché il conservatore vede il tutto, passato, presente e futuro (per quanto umanamente possibile), mentre il progressista vede solo il futuro (beninteso, come se lo immagina lui), mentre disprezza e rifiuta di dedicare un solo sguardo all’ignobile passato, e, quanto al presente, lo vede e non lo vede. In effetti, il suo sguardo è talmente proteso in avanti, le sue aspettative ed i suoi desideri sono talmente rivolti al futuro, che il presente, di fatto, gli sfugge, ed egli lo attraversa come un sonnambulo, senza capirlo veramente, senza nemmeno darsi la pena di ascoltarlo. Del resto, perché perdere tempo e dissipare energie, sforzandosi di ascoltare il presente, quando c’è il futuro, così allettante, così “giovane” e vergine, così ricco d’infinite e meravigliose possibilità, proprio lì, dietro l’angolo, dietro la porta già socchiusa? Ancora una piccola spinta, e la porta si aprirà del tutto, e il regno della Felicità verrà finalmente instaurato, con tripudio e soddisfazione generali. Se qualcuno, per caso, non dovesse apprezzarlo, niente paura: a lume di logica, costui non potrà essere che un malato di mente; e allora i progressisti lo affideranno alla scienza psichiatrica per aiutarlo a rinsavire, e, in tal modo, ad apprezzare il Mondo Nuovo. Ammettere che i non soddisfatti siano in possesso delle loro facoltà mentali, è impossibile, perché in contrasto con il dogma progressista. Il progressista, infatti, preferisce mille volte dare torto ai fatti, quando i fatti hanno la spiacevole proprietà di smentire le loro teorie. In altre parole, essi sono dei fanatici, dei fondamentalisti, sono i talebani del Progresso; e guai a chi non s’inchina dinanzi a loro: si tratta di un atto di ribellione e di empietà nello stesso tempo.
Attenzione: non stiamo barando con le carte; non stiamo mettendo a confronto un progressista ottuso ed un conservatore intelligente: no, nessun giochino di questo tipo. Sarebbe troppo rozzo, e decisamente puerile. No: immaginiamo di avere a che fare con due persone intelligenti, l’una progressista, l‘altra conservatrice; e gli stupidi, lasciamoli, per il momento, fuori dal quadro. Dunque: noi affermiamo che mentre il conservatore può arrivare a comprendere le ragioni del progressista, questi non arriverà mai a comprendere, e nemmeno a vedere, quelle del conservatore. Perché? Semplice: perché il progressista, per definizione, non ammette altre ragioni al di fuori di quelle del suo dio, il Progresso; mentre il conservatore, se è intelligente, vede sia le proprie ragioni, diciamo quelle della tradizione, sia quelle del suo interlocutore, cioè quelle del progresso (ma con la lettera minuscola, perché egli non lo adora, tutt’altro). Lo si è visto innumerevoli volte. Nella stagione sessantottina, per esempio, il professore conservatore poteva capire quel che volevano gli studenti “rivoluzionari” (e non importa se rivoluzionari da salotto, vale a dire con i soldi di papà e sostanzialmente per gioco, cioè senza alcuna idea di andare sino in fondo, assumendosi anche i sacrifici e le rinunce del vero rivoluzionario). Quel professore, per esempio, era disposto a vedere gli aspetti condivisibili dell’analisi sociale di Marx, nonché la sete di giustizia dei figli del popolo; così come vedeva la bruttura delle multinazionali e l’egoismo delle grandi banche, e non provava alcuna simpatia per il capitalismo selvaggio. Non ne traeva, però, le frettolose e rozze conclusioni che ne traevano gli studenti di sinistra, abituati a semplificare e a schematizzare, sia per mancanza d’intelligenza, sia per mancanza di umiltà, di pazienza, di spirito di sacrificio. Quelli del vogliamo tutto, e lo vogliamo subito non cercavano di capire, volevano solo trovare qualche formuletta preconfezionata da imparare a memoria (prendendola da Marcuse, da Cohn-Bendit, magari anche da Mao Zedong) per potersi lanciare nella loro avventura rivoluzionaria e giovanilistica, spesso estetizzante (la beauté est dans la rue), quasi sempre idiota (vietato vietare!).
E ora torniamo a Francesco. Da buon progressista, egli è salito al soglio pontificio con una idea ben precisa in testa: traghettare la Chiesa, con il vento del Progresso, verso un futuro radioso. Per fare ciò, era necessario sradicarla dalla Tradizione e, fino a un certo punto, anche dalle Scritture: e che altro è la rivalutazione di Lutero, se non una ammissione, a cinque secoli di distanza, che, in fondo, aveva ragione lui a voler leggere e interpretare liberamente la Bibbia? Sempre in nome della ragione, naturalmente; della ragione e della coscienza. Due cose molto, troppo umane. La fede, qui, non ha parte alcuna. E infatti Francesco parla poco di Dio come il creatore trascendente, come il Padre onnipotente, misericordioso ma anche giusto; parla solo della sua misericordia, quasi come di cosa scontata e dovuta, cioè parla di Dio come se il suo dio fosse una proiezione dei suoi ideali umani. C’è un piccolo particolare, tuttavia, del quale sembra essersi scordato: che la Chiesa non è sua; dunque, che non ha alcun diritto di traghettarla, o di portarla, o di trascinarla, proprio da nessuna parte. Non è che la Chiesa deve stare ferma: semplicemente, il papa, così come l’ultimo dei fedeli, come il più umile prete e la più umile suora (uguali a lui davanti a Cristo, nonostante tutto il divismo e l’auto-glorificazione che costituiscono il pane quotidiano di questo pontefice che sbandiera sempre la sua umiltà), devono mettersi nelle mani di Dio, devono affidarsi a Dio, devono lasciare che a condurre la Chiesa ci pensi Lui. Non loro. Non spetta al papa decidere alcunché riguardo alla direzione, alle riforme, o qualsivoglia altra innovazione della Chiesa: ciò spetta a Dio. Il papa è soltanto il custode del gregge; non il suo proprietario. Se lo dimentica, diventa un custode infedele, un lupo travestito da agnello, che, invece di pascere le pecorelle, le mette in pericolo. E Dio sa, purtroppo, quante anime vengono poste in pericolo dal progressismo di Bergoglio. Noi ne conosciamo parecchie, e si tratta di persone eccellenti: il modo di fare di questo pontefice, così traumatizzante, così indifferente verso il turbamento che può causare ai fedeli, e, cosa ancor peggiore, così palesemente compiaciuto del turbamento e del disagio che crea ai suoi, quanto dell’applauso e delle simpatie che riscuote fra gli “altri”, i luterani, i giudei, gli islamici, gli atei massoni e radicali, tutto ciò è tale da aver allontanato alcuni fra i migliori dal cattolicesimo, con pericolo delle loro anime. Di questo verrà domandato conto al papa Francesco: gli verrà chiesto di rendere conto fin dell’ultima pecorella che lui ha allontanato dal gregge, che ha praticamene scacciato, e che ha lasciato belare fra le spine, incurante della sua sofferenza, tutto preso dalla smania di rinnovare, di cambiare, di riformare, e dal piacere narcisista di ricevere consensi e acclamazioni da tutte le parti, ma specialmente da chi non è cattolico e da chi non ama, né ha mai amato, la Chiesa cattolica.
Gesù, rivolgendosi a san Piero, per tre volte gli disse: Mi ami tu? Pasci le mie pecorelle. Chi ama Gesù, pasce le pecorelle del suo gregge: e questo è il mandato specifico del papa. Ma Francesco non ha mai pascolato le pecorelle: le ha sempre scosse, rimproverate, mortificate, accusate d’infinite colpe, le ha turbate con prese di posizione sconcertanti, lontane dal Magistero, contrarie alla dottrina della Chiesa, così come i cattolici l’hanno sempre conosciuta, così come è stata insegnata loro. Papa Francesco voleva far capire che tutta la Chiesa, prima di lui, ha sbagliato? Se era questo che voleva far capire, c’è riuscito perfettamente: e tanto peggio se, con ciò, ha gettato in una drammatica crisi di coscienza milioni di fedeli. A lui che importa? Non ha mai mostrato dubbi o incertezze di sorta sulla bontà del suo modo di procedere; non ha mai mostrato la benché minima disposizione a fare, eventualmente, un po’ di autocritica; non ha mai ascoltato i dubbi e le perplessità delle sue pecorelle, e nemmeno dei suoi pastori. I quattro cardinali che, lealmente e legittimamente, hanno chiesto dei chiarimenti sulla Amoris laetitia alla Congregazione per la Dottrina della fede, aspettano ancora una risposta, da più di quattro mesi. L’unica cosa che si son sentiti dire, non dal papa, ma da un suo fedelissimo – monsignor Pinto, decano della Sacra Rota -, è che meriterebbero di essere privati del cardinalato per lo “scandalo” che hanno dato, redigendo quel documento. Alla faccia della misericordia, della democrazia e della libertà, valori tanto decantati da Francesco, a proposito e a sproposito, nelle sue quotidiane esternazioni. Uno di loro, Burke, ha già sperimentato la vendetta del papa; così come l’hanno sperimentata, e la stanno sperimentato, i francescani e le francescane dell’Immacolata. Se il papa fosse in buona fede, almeno davanti a questo sconcerto, a questa sofferenza delle anime, da lui provocati (e sia pure, ammettiamolo per amore d’ipotesi, involontariamente), se ne darebbe qualche pensiero: ma no, niente del genere. Egli va avanti per la sua strada e liquida con battute sprezzanti la sofferenza interiore delle anime che lui stesso ha confuso, che lui stesso ha gettato nello sconforto e nell’amarezza. Se fosse in buona fede, di ciò si preoccuperebbe, ne avrebbe pena e, forse, un’ombra di rimorso. Tenterebbe di dialogare, di spiegare, di chiarire, di rassicurare; si farebbe sulla porta di casa, come il padre misericordioso. Ma lui non fa, non hai mai fatto un gesto del genere. La sua misericordia è a senso unico: è rivolta solo agli “altri”, e, fra i cattolici, a coloro che lo sostengono, che la pensano come lui e che lo ricoprono di lodi smaccate, lusingando la sua vanità. Ma questo, ci sia permesso dirlo – e lo diciamo con timore e tremore – non solo non è cristiano, ma è diabolico; è diabolico vedere che si sta provocando della sofferenza, e non fare il minimo gesto per lenirla, anzi, moltiplicare i gesti che la accrescono. È diabolico questo disprezzo dei fratelli, e, peggio ancora, questa noncuranza per le pecorelle del gregge che gli è stato affidato. Dovunque egli voglia andare, ha già sbagliato, ha già fallito la sua missione, ha già tradito.
E proprio qui si vede la forma mentis del classico progressista. Il progressista vede benissimo – parliamo del progressista intelligente: e papa Francesco lo è certamente – le sofferenze che provoca la sua marcia in avanti, verso le magnifiche sorti, ma non se ne cura: le considera il prezzo inevitabile del Progresso. Il quale, lui lo sa bene, è un dio geloso e, talvolta, crudele: esige le sue vittime. I conservatori, i tradizionalisti, gli oppositori, non meritano di essere compatiti troppo: opponendosi al Progresso, si sono macchiati di sacrilegio, e dunque hanno meritato una brutta fine. Non importa. L’importante è che la marcia del Progresso non si fermi, che la ruota non perda nemmeno un giro. Ma Francesco ha dimenticato la domanda di Gesù a san Pietro: Mi ami tu?, e ha dimenticato che Gesù l’ha ripetuta per ben tre volte. Gesù sapeva bene quanto sia facile, per i suoi pastori, perdere di vista proprio Lui, e innamorarsi di se stessi. Si è mai chiesto, Bergoglio, se Gesù credeva nel Progresso? Perché, da come agisce, pare lo dia per scontato. Ma siamo certi che è così?

Francesco, dove stai portando la sposa di Cristo?

di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10985:francesco-e-sposa-di-cristo&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96


CHI VUOLE UNA CHIESA UN PO' PIÙ «PROTESTANTE» PUÒ GUARDARE ALLA SVIZZERA: CROLLO DEGLI EVANGELICI


Chi vuole una Chiesa un po' più «protestante» può guardare alla Svizzera: crollo degli evangelici
NEUCHÂTEL - Negli ultimi anni in Svizzera la quota di cattolici-romani è rimasta relativamente stabile, mentre quella degli evangelici-riformati è fortemente diminuita, a vantaggio delle persone che si dichiarano senza confessione. È quanto mostrano dati pubblicati oggi dall'Ufficio federale di statistica (UST).

In occasione del censimento effettuato nel 2015, quasi un quarto (23,9%) degli adulti ha dichiarato di non avere un'appartenenza religiosa. Si tratta del doppio rispetto a 15 anni prima.

L'aumento è andato in particolare a scapito dei protestanti: nel 2000 un terzo dei maggiori di 15 anni si dichiarava evangelico-riformato, mentre nel 2015 la quota è scesa al 24,9%. Dal 1970 il dato si è praticamente dimezzato.

I cattolici-romani sembrano aver sofferto meno di questa erosione. Fra il 2000 e il 2015 la loro quota è passata dal 42% al 37,5%. In numeri assoluti il dato è addirittura cresciuto, in particolare grazie all'immigrazione di persone appartenenti a questa comunità.

Il dato relativo ai musulmani e alle comunità derivanti dall'Islam negli ultimi quindici anni ha fatto registrare un aumento di 1,5 punti percentuali, raggiungendo il 5,1%. La quota delle comunità ebraiche è rimasta invece pressoché invariata allo 0,2%. Buddismo e induismo rappresentano entrambi circa lo 0,5%.

L’oscuro devastatore sta ancora colpendo la Chiesa – di Antonio Socci

Papa FrancescoVenerdì la grande “Marcia per la vita” di Washington, esaltata in Tv da Trump, ha voluto attribuire il suo Premio onorifico annuale al card. Raymond Burke, cioè proprio colui che da mesi viene perseguitato da Bergoglio come il suo grande avversario (il papa lo ha colpito in ogni modo, fino all’annichilimento dell’Ordine di Malta avvenuto sabato). Il bergoglismo nacque in sintonia con Obama e con il “partito tedesco” anti-Ratzinger e – come vedremo – alcune personalità cattoliche Usa oggi chiedono a Trump addirittura di appurare se ci siano state interferenze della passata amministrazione nelle strane “dimissioni” di Ratzinger del 2013 e nell’ascesa di Bergoglio.
Ora che Obama è finito e l’impero germanico della Ue sta nel mirino di Trump, il pontificato politico di Bergoglio si va a schiantare su due muri della nuova amministrazione Usa. Un muro materiale e uno politico-culturale.

MURI
Contro quello materiale che Trump vuol costruire ai confini col Messico (perché uno Stato che non controlla i suoi confini non è uno Stato) il Papa è già partito all’attacco.
Bergoglio, incurante di essere lui stesso capo di uno stato, quello vaticano, circondato da alte mura, dove è impossibile entrare per qualunque clandestino, ha fulminato Trump, infischiandosene del fatto che buona parte del muro col Messico lo hanno costruito i democratici di Clinton e Obama.
Oltretutto sulle frontiere chiuse ai musulmani Trump applica proprio ciò che fu prospettato dal grande card. Biffi. Ma Bergoglio odia proprio questo connotato culturale filo-cristiano di Trump.
Appena insediato Trump ha rovesciato la politica ultralaicista di Obama e la sua ideologia abortista che a Bergoglio non ha mai fatto problema: dopo aver, fra l’altro, cancellato la pagina Lgbt della Casa Bianca, il presidente ha bloccato i finanziamenti pubblici alle ong estere abortiste e in tre giorni ha fatto, per la causa dei bambini non nati, più di quanto abbia fatto in quattro anni Bergoglio, che quella causa ha tradito per inventarsi invece le crociate obamiane pro-immigrati, pro dialogo con l’Islam e i comizi sull’eco-catastrofismo fatti davanti a organizzazioni come il Centro sociale Leoncavallo.
Il mondo pro-life, molto forte in America, ha sostenuto in modo determinante la vittoria di Trump (come quella di Reagan) e alla manifestazione pro-life “su richiesta del presidente Trump” ha parlato il suo vice Pence (è la prima volta in 44 anni che interviene una così alta carica istituzionale) dicendo che “in America la vita è tornata a vincere” e questa presidenza “non si fermerà finché in America verrà ristabilita la cultura della vita”.
Ha annunciato infatti altri provvedimenti e la nomina determinante di un giudice pro life alla Corte Suprema.
Poi Pence ha concluso: con la compassione daremo voce ai bambini non nati e guadagneremo i cuori delle donne… vi assicuro che il presidente Trump ha le spalle larghe e un cuore grande”.

UN GRANDE CARDINALE
I promotori della Marcia – come ho detto – hanno annunciato di aver conferito il Premio al card. Burke, molto stimato nella nuova amministrazione Usa.
La scelta – ha detto John-Henry Westen – è dovuta al fatto che “il cardinale Burke ha sofferto molto per la causa della vita, della fede e della famiglia. Egli ha portato in pace e letizia questa sofferenza e le umiliazioni pubbliche che ha ricevuto da tutte le parti”.
A quali umiliazioni pubbliche si riferiscano i pro life è noto a tutti: Bergoglio gliene ha inflitte per quattro anni e sabato è arrivato ad annichilire il millenario Ordine di Malta per umiliare il card. Burke, che lì era stato confinato proprio dallo stesso Bergoglio.
I due sono agli antipodi anche come tipi umani. Tanto Burke è mite e gentile quanto Bergoglio è prepotente (lo ha ammesso lui stesso), vendicativo e tendente al culto della personalità (una papolatria che oggi ha sostituito il culto eucaristico).
Burke è un uomo di Dio, ha profonda spiritualità, non gli interessa né guadagnare né perdere poltrone. Invece Bergoglio fin da giovane ha partecipato alla feroce lotta del potere ecclesiastico e ne è tuttora assorbito.
Ragiona solo in termini di potere e non concepisce chi non si fa “attirare” dalle promesse né intimidire dalle minacce. Detesta cardinali come Burke (o Caffarra) che pensano solo al giudizio di Dio e non si preoccupano di lusinghe e intimidazioni umane.
E’ noto che Bergoglio è andato su tutte le furie quando Burke e altri tre cardinali, della sua stessa fede cattolica, hanno reso noti i loro famosi “Dubia” per chiedere al Papa che si pronunci in modo chiaro sugli argomenti delicati con cui, attraverso l’Amoris laetitia, ha terremotato e confuso la Chiesa.
Ancora più furibondo Bergoglio è diventato quando è uscita l’intervista del card. Burke che, serenamente, ha prospettato – in caso di rifiuto pervicace del papa di rispondere – la possibilità canonica di una “correzione” (che è prevista e non è inedita nella storia della Chiesa).
L’offensiva contro l’Ordine di Malta va inquadrata in questo suo furore che Bergoglio non riesce a tenere a freno (come quando ha coniato l’assurdo parallelo fra Hitler e Trump).
Il “Catholic Herald” ha osservato: “Il Vaticano ha distrutto la sovranità dell’Ordine di Malta. E se l’Italia facesse la stessa cosa con il Vaticano?”.

L’AUTOCRATE
Ancora più duro l’“American Spectator” che – in proposito – ha scritto: “Sotto Papa Francesco, la nuova ortodossia è eterodossia e guai a coloro che non si conformano ad essa”.
George Neumayr, l’editorialista, nota che la priorità di questo papa è colpire chi è fedele alla dottrina cattolica e premiare gli altri (e cita ciò che Bergoglio ha fatto con gli ordini religiosi).
“Solo i conservatori ricadono sotto il suo sguardo fulminante”. Con lui “il Vaticano è diventato una calamita per gli attivisti più anti-cattolici d’Occidente, molti dei quali hanno contribuito all’enciclica del Papa sul riscaldamento globale”.
Bergoglio – scrive ancora lo Spectator – parla di “autonomia” e “rispetto delle differenze”, ma “è il Papa più autocratico e amante delle epurazioni che si sia visto in molti decenni. È la quintessenza del progressista ‘tollerante’ salito al potere grazie alla disobbedienza (come arcivescovo di Buenos Aires ha ignorato le direttive vaticane), ma che poi mantiene il potere chiedendo obbedienza assoluta agli altri. Se fosse obbedienza alla dottrina della Chiesa” scrive il mensile “nessuno potrebbe biasimarlo. Ma non lo è. Lui chiede obbedienza ai suoi capricci modernisti”.
La requisitoria prosegue così:
“Dai corridoi delle Nazioni Unite alle stanze di L’Avana e Pechino, gli statalisti anticattolici possono sempre contare su di lui… com’è evidente nella sua recente scandalosa intervista in cui ha dichiarato che i cattolici cinesi possono ‘praticare la loro fede in Cina’. No, non possono. I fedeli all’ortodossia cattolica sono trattati brutalmente”.
“Come è possibile – conclude lo Spectator – che il Papa possa considerare i comunisti cinesi in modo così benevolo mentre tratta i fedeli conservatori in maniera così severa? Gli storici del futuro troveranno sorprendente che all’inizio del 21° secolo il Papa invece di proteggere i cattolici abbia contribuito alla loro persecuzione”.

INDAGINE
Il clima è tale che – come dicevo – sul sito cattolico “The Remnant” un gruppo di intellettuali cattolici americani, ricordando con sconcerto le posizioni di Bergoglio contro Trump e a favore della sinistra internazionale, fa appello al neo presidente Usa Trump perché – prendendo spunto anche dai documenti di Wikileakes – si cerchi di capire se un cambio di regime in Vaticano fu immaginato e messo in cantiere negli anni della precedente amministrazione democratica.
Si chiede al presidente addirittura di appurare se eventuali azioni riservate siano state intraprese da agenti Usa in relazione alla “rinuncia” di Benedetto XVI e al Conclave che ha eletto Bergoglio, per capire se vi siano state interferenze sulla vita della Chiesa.


Antonio Socci
Da “Libero”, 30 gennaio 2017

Sito: “Lo Straniero
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